La vita ci offre diverse strade per imparare in qualsiasi ordine di argomenti, per esempio su quello di ampliare il campo delle nostre conoscenze sul mondo che ci circonda.
Per farlo disponiamo di una bibliografia vasta ed esauriente, alla quale possiamo accedere praticamente quando lo vogliamo, sia tramite le biblioteche fisiche sia online attraverso il web.
Questi modi di agire risvegliano in noi il nostro innato spirito d’avventura, aprendoci le porte della fantasia. Ciò si traduce per una sete di esperienze reali che punta a verificare le informazioni apprese e, allo stesso tempo, un sollecito a provare fisicamente le emozioni promesse.
Quanto detto non è altro che un concreto stimolo a viaggiare, a visitare e a conoscere il nostro rione, la nostra città, la nostra nazione, il nostro continente, e poi gradatamente il resto del mondo.
Certi lo potranno fare fisicamente, all’età e nelle condizioni dovute, e altri continueranno a farlo con la mente come abbiamo fatto tutti da giovanissimi.
Per altri ancora, spostarsi costituisce il modo di sostentarsi. Pensiamo a tutte quelle persone che sono costrette a lavorare in posti diversi da quelli di residenza, per le quali il mondo è sì leggermente più ampio che di solito, ma non per quello appare loro più ameno. Loro compiono in continuazione dei viaggi con la V minuscola.
Ma prima di continuare mi domando: è possibile ai nostri giorni parlare di Viaggi con la V maiuscola? Certo che sì! Oggi più che mai la gioventù si vede agevolata in tutti gli aspetti, dalla scuola agli spostamenti e ai soggiorni, mentre per i maggiori esistono delle crociere che vengono offerte a prezzi simili a quelli di un pernottamento medio in albergo. Senza addentrarci sui prezzi dei voli low-cost.
I viaggi costituiscono l'ossatura attraverso la quale si è sempre espressa e si esprime la nostra immaginazione. Pensiamo ai grandi autori che ci permisero di conoscere il mondo mediante le avventure dei loro eroi. Essi hanno costituito il nostro WEB e il nostro GPS per l'esplorazione del mondo, quando non esisteva altro mezzo che la trasmissione scritta. Su di essi si è costruito il nostro sviluppo psicofisico e si è forgiato il nostro ego sociale. Pensiamo, tanto per dire, a Giulio Verne, a Daniel Defoe o a Emilio Salgari, tra i tantissimi.
Preparare un viaggio significa prendere una dose di adrenalina non indifferente. L'elaborazione dell'itinerario è molto spesso più gratificante del viaggio stesso, come pure la voce "fare la valigia". Tutto ci predispone in automatico per la nuova impresa.
Prima di proseguire devo dire di aver viaggiato molto e per diversi motivi: emigrazione, studio, lavoro, curiosità scientifica e diletto. A conti fatti so di aver messo i piedi in oltre novanta paesi di quattro continenti.Avendo visitato il mondo, posso dire che l'umanità si può presentare sotto diversi aspetti, secondo il colore della sua pelle o della sua razza o dei propri usi e costumi, ma che si caratterizza in ogni caso per un comune denominatore: il suo rapporto con la natura in cui si trova inserita, una propria visione riguardante la creazione dell'universo in cui abita e la fede in una entità di grado superiore (Divinità). Questi tre aspetti ne condizionano la sua esistenza e ne indirizzano il cammino della propria evoluzione.
È noto che le regioni oggi più transitate appaiono come una fusione di etnie, ma ciò nonostante (o forse per quello), hanno degli aspetti propri che ne descrivono la loro umanità agli occhi di chi le osservi con attenzione e con un imprescindibile tocco d'interesse. Per trovare le vere radici di un popolo occorre visitare i suoi centri più lontani dalle luci delle ribalte, perché è nel chiaroscuro della loro quotidianità che si annidano le loro tradizioni più interessanti, come i loro culti e credenze, le quali non emergono quasi mai al primo contatto. Bisogna imparare dai pescatori, che una volta gettata la lenza si predispongono in attesa del frutto della loro pazienza e costanza.
Molte volte mi è stato chiesto quale sia il posto più bello che io abbia visitato, avendone visti tanti e tanto diversi, e non ho alcun imbarazzo nel rispondere di non poter trasmettere in un singolo apprezzamento le sensazioni che ognuno di essi mi ha provocato e che mi consenta di poterlo definire come il più bello. La bellezza è qualcosa di soggettivo e per un buon osservatore i particolari possono essere interessanti o banali, ma evocano sempre sentimenti estetici. Tutti i posti visitati mi hanno lasciato un'impronta più o meno profonda, ma per tutti sento la voglia di rivederli e di rivivere le esperienze provate, con l'apertura mentale che ho avuto al primo contatto. Tutti i posti sono belli per chi senta la voglia di addentrarsi nella loro realtà e di compartirla, per quanto possibile, con chi vi abita.
Non esistono posti piccoli o insignificanti. Tutti meritano e pagano lo sforzo di essere visitati. È vero che certi contribuiscono di più ad accrescere il nostro campo nozionistico, ma è pur vero che altri apportano del colore e ci danno la possibilità di paragonarli, dandoci una visione più attaccata alla realtà delle differenti situazioni incontrate. Tutti indistintamente entrano a far parte della nostra formazione e cultura.
Il viaggiatore porta spesso con sé una camera fotografica o una cinepresa per registrare le sue visite (oggi uno smartphone). Analizzando lo scopo ultimo di dette registrazioni, possiamo dire che il suo obiettivo principale consista nell'aiuto che da esse si spera nel momento di compartire con la propria cerchia le vivenze cui si è partecipato. Sapendo che in nessun caso quei mezzi potranno riferire all'auditorio il cumulo di sensazioni acquisito durante le proprie esperienze. No, il viaggiatore è sempre solo e unico durante i momenti trascorsi nelle sue avventure. Ogni esperienza è irripetibile per il bagaglio di sensazioni che comporta, casuali o motivate. E da ciò deriva l'impossibilità di assegnare loro un punteggio di bellezza o di amenità.
Nel mio caso poi, detti concetti si trovano ancora più giustificati, dato che la maggior parte dei miei viaggi la effettuai in solitario, a bordo di una Land Rover attrezzata a mo’ di camper tout-terrain, e ne consumai ben tre esemplari! Nei casi più fortunati ebbi la compagnia di un caro amico che mi ha già preceduto sul cammino senza ritorno, e altre ancora del mio cane fedele, Dick o Jack secondo le epoche.
Viaggiare da soli per paesi esotici comporta la sua dose di rischi, ma vi dico subito che parallelamente si sviluppano degli anticorpi che consentono di sopravvivere senza particolari sussulti. Le situazioni più critiche le provai sul Sahel, nell’Africa sud-sahariana, ma niente che non si sia risolto sul nascere, senza alcun cenno di sconforto. Da quelle parti la solitudine è così densa che si può tagliare con una forbice. Si può cadere nella tentazione di confondere il Sahara con il Sahel, ma un apprezzamento sommario li distingue: il Sahara è totalmente privo d’insediamenti, quindi, lo si attraversa sapendo di non trovare altro che dei viaggiatori, più o meno come noi in materia di equipaggiamenti, mentre che nel Sahel vi abitano stabilmente delle popolazioni, seppur più o meno nomadi, grazie a una vegetazione minimale a macchia di leopardo, e a una presenza d’acqua anch’essa presente in modo saltuario ma stabile. Notevole pure la presenza impensabile di mandrie di bovini scarniti.
Seguiranno dei brevi commenti personali su degli aspetti che considero salienti come frutto dei miei viaggi. Chiarisco subito che le mie impressioni si riferiscono ai lati concreti e al massimo analitici della cosa, presentandosi perciò carenti di quella tonalità poetica e spirituale che altri viaggiatori avrebbero potuto sottolineare. La ragione non è casuale. Questo mio atteggiamento non va inteso come una mancanza di sensibilità, ma piuttosto come un segno di rispetto verso coloro che hanno saputo, e sanno, meglio descrivere questi aspetti così importanti della nostra esistenza. Altri si soffermerebbero su dei dettagli turistici, anch’essi pieni di fascino, e altri ancora sui piaceri della tavola o sul clima, etc.
Dell’Africa in generale, dato che sono in tema, vorrei far notare la colossale influenza della cultura europea attuale a detrimento di quella coloniale. Motivate da una natalità molto elevata, ingenti masse di individui via via più giovani, tentano con ogni mezzo di lasciare le terre natie in cerca di miglior fortuna nel vecchio continente. Questo fenomeno emigratorio arreca dei problemi notevoli ai paesi frontalieri come il nostro, ma non dobbiamo dimenticare le conseguenze di questi esodi nei loro paesi. Sono rimarchevoli le difficoltà economiche e la miseria di molti centri minori, dovuti all’abbandono delle forze umane più valide. In casa loro l’età media cresce a dismisura e ciò, unito alla carenza di effettive leggi sociali, provoca, e lo farà più marcatamente in futuro, un richiamo alla solidarietà e al sostegno da parte dell’Occidente, beneficiario per antonomasia delle loro ricchezze minerarie ed energetiche. A tutto ciò si unisce l’influenza dei principali paesi asiatici negli ultimi decenni, come partecipatori agli spogliamenti, senza dover fare i conti con dei doveri inerenti al passato coloniale come nel nostro caso. Il futuro si presenta ancora più difficile, dato che un solo paese come la Nigeria, tra qualche tempo disporrà di un popolazione superiore a quella europea.
Dell’Europa, come culla di vecchie civiltà che si sparsero per il mondo in cruente campagne di conquista, posso dire che oggi la si vede caratterizzata da una gioventù assai diversa dalle popolazioni che le hanno generate. Sebbene questo concetto sia comune a tutto il pianeta, oserei dire che da noi appare più dirompente. Le ragioni sono sicuramente tante, ma innanzitutto darei la priorità a un sentimento di omogeneizzazione e di appiattimento riguardo le diverse nazionalità. Non vorrei essere malinteso, i nazionalismi e il patriottismo permangono, ma l’innalzamento del livello culturale medio gli sta rilegando a sentimenti via via più reconditi e perciò meno palesi e prioritari. Queste nuove leve hanno una sintonia globale in altri tempi impensabile, che alle volte affiora a causa di sentirsi un po’ estraniate dal potere vero. Una specie di alienismo dilagante, contagioso e contestatario in virtù della loro (ai loro occhi) emarginazione. A tutto ciò si unisce la endemica mancanza di occupazioni ben retribuite, principalmente per quelle frange della gioventù che non dispongono di un livello scolastico medio-alto. Il processo d’integrazione europea è perciò più sentito da loro che dai più anziani. Questi ultimi si lamentano che detto processo non finisca di coagulare in una identità sociale coesa e rappresentativa della nostra potenzialità economica. Appariamo come dei giganti coi piedi d’argilla, rilegati a un ruolo di comparse, sia nel campo della politica internazionale come in quello militare e strategico.
Dell’America Latina posso dire che poco sia cambiato negli ultimi decenni. La loro condizione post coloniale dette luogo a paesi in cerca di personalità e proprie vie di sviluppo, e ciò permane. Nonostante la presenza d’intere fasce di popolazione oriunde europee, o forse a causa di loro, molte di quelle nazioni sono tuttora in cerca di un inquadramento politico e sociale che li permetta di contare nel contesto internazionale. L’influenza accecante della luce proveniente dai loro cugini del Nord, non ha permesso, e in molti casi non permette ancora, una vera indipendenza politica né economica, pur trattandosi di stati assolutamente liberi. La debacle economica di molti di essi, mal si spiega quando si considerano le ricchezze naturali di cui dispongono. Vecchi concetti di autarchia e malaffare pesano come macigni, e come tali appaiono difficili da estirpare. Molti di detti paesi non raggiungono lo status di maggiorenni, pur contando con categorie di tutto rispetto. Difficile dare una opinione globale di quel subcontinente, a causa delle profonde differenze originarie e acquisite dei loro componenti. La presenza di culture autoctone in molti di essi, rendono ancora più marcate le differenze con quelli che non le posseggono, e ciò fa sì che certi interi stati possano essere considerati come delle vere provincie europee. Tiepidi tentativi d’integrazione non hanno finito ancora per coagulare, a causa d’influenze storiche e/o esterne. Nell’area del futuro, permangono le loro intrinseche potenzialità. Consiglio di ignorare certi loro aspetti marcatamente negativi, appellandomi alla vostra comprensione umanitaria, anche se sono così difficili da digerire. Buona parte del castigo consiste nel perdono.
Dell’America del Nord avrei tanto da dire, anche se molti concetti appartengono alla nostra cultura di base. La vastità di tali stati deforma marcatamente il nostro concetto “dell’estero”, dovuto a che i loro confini sono sempre distanti e le realtà locali finiscono per oscurarli. La cultura tradizionale è rivolta principalmente verso il loro interno. Il loro paese principale, gli USA, confermato negli ultimi decenni come un vero impero economico, politico e militare, lascia poco spazio al resto del mondo. A ciò si deve che i tentativi di svincolarsi da parti di altre popolazioni, avvenga o appaia in modo traumatico. Come ex-colonialisti ne capiamo qualcosa. In questo momento di ricerca di un nuovo rapporto tra società e natura (non scelto ma forzato), loro detengono il primato incontestabile del consumo energetico pro-capite, podio dal quale non scenderanno senza pagare un prezzo sociale di conseguenze non facilmente prevedibili. Quando i ricchi starnutiscono, i poveri prendono il raffreddore. Nonostante si tratti di una società multietnica, il loro concetto di nazione è fortemente radicato, e ciò, unito al fatto di essere contornati da due oceani fa sì che il resto del mondo passi per loro in second’ordine. Quest’ultimo apprezzamento non si limita purtroppo soltanto alle classi meno acculturate.
Dell’Asia, per concludere, debbo riconoscere di aver confermato solo in parte le mie conoscenze scolastiche di base. L’ho visitata in parecchie opportunità, e in ognuna di esse ho colto degli aspetti nuovi. Non si tratta di qualcosa di misterioso, ma di ignoto. La nostra formazione culturale ci ha riempito, lungo gli anni, di stereotipi e di falsità che dovrebbero farci vergognare della nostra ignoranza. Visitare le loro metropoli significa atterrare s’un altro pianeta. Là, tutto è segnato in prima analisi, dalla colossale massa di individui assiepati in poco spazio, inferiore un realtà di quello di cui dispongono veramente. Le file o code di persone sono la norma per qualsiasi evento, ed è proprio lì che affiora la loro identità: la disciplina e l’ordine regnano anche nelle situazioni più difficili. La forza dell’ego lascia tutto lo spazio al sociale. A prima vista si è tentati di attribuire tale fenomeno a una cultura robotizzata, ma soffermandosi ci si accorge che si tratta semplicemente di norme apprese lungo secoli o millenni di convivenza. La loro gentilezza fa impallidire la nostra fredda cortesia occidentale. La tecnologia spadroneggia a dismisura, e alle volte ci fa sentire un po’ inferiori. Sensazione totalmente rovesciata rispetto al nostro sentire comune che ci vuole proprietari della vita “moderna”.