Maurice RAVEL

Joseph-Maurice Ravel nasce a Ciboure, 7 marzo 1875 nella regione Basca francese ai confini con la Spagna, da mamma basca e da padre svizzero, e muore a Parigi il 28 dicembre 1937. Fu  compositore, pianista e direttore d’orchestra francese.


In ragione dello stile e dei caratteri “definitori” delle sue opere, viene spesso denominato “impressionista”, come Claude Debussy (1862-1918). Si tratta dell’accostamento di entrambi alla corrente pittorica propriamente detta (Monet, Renoir, Degas). Ciò che pone problemi nella critica d’arte e musicale è, che l’impressione tende a “smorzare” l’espressione, producendo un effetto rapsodico, velato ed evanescente (si pensi al dipinto di Monet, la “Cathédrale de Rouen”, riferimento per il Preludio di Debussy, “La cathédrale engloutie”). Nella musica di Ravel, invece, l’espressione “trova massima espressione”.
I primi componimenti di Ravel (Jeux d’eau, Une barque sur l’océan, Ondine ed il Concerto pour la manin gauche) danno luogo a suggestioni uditive riconducibili all’acqua, in modo “sfumato”, ma con connotazioni immaginifiche. In tal senso, sarebbe, forse, più corretto situare Ravel tra Impressionismo ed Espressionismo.
A sette anni studiava il pianoforte e prima dei 13 componeva. I genitori per aiutarlo a sviluppare questa passione lo mandarono a studiare al Conservatorio di Parigi, prima per gli studi generali, ed in seguito come studente di pianoforte.
Durante i 14 anni trascorsi al conservatorio, Ravel concorse, inutilmente, diverse volte, per il prestigioso "Premio di Roma", e fu proprio a causa di ciò che venne radiato dal conservatorio perché non vincitore di concorso.
Dopo aver lasciato il conservatorio, trovò la sua strada come compositore, sviluppando uno stile di grande chiarezza e incorporando elementi di modernismo, barocco, neoclassicismo e, nelle sue opere successive, di jazz.
Successivamente si iscrisse alla classe di contrappunto e fuga, tenuta da Gédalge, e il corso di composizione affidato a Fauré, col quale terminò i suoi studi nel 1905.
A soli 24 anni ottiene un grande successo con la "Pavana pour une infante défunte".
Pavane pour une infante défunte scritta nel 1899 brano composto originariamente per pianoforte e orchestrato per ensemble da camera – due flauti, oboe, due clarinetti, due fagotti, due corni, arpa e archi – rivela all’interno del suo discorso compositivo molti elementi tipici delle armonie future di Ravel, sbalorditivo orchestratore per ricchezza e raffinatezza di atmosfere timbriche.
Questa composizione è un delizioso sottofondo sonoro che risente l’influenza di due grandi maestri Emmanuel Chabrier e soprattutto Gabriel Fauré, a sua volta autore di una celebre Pavane orchestrale, l’Op. 50, altra squisitezza della musica francese del tardo Ottocento.
La Pavane è un’antica danza di derivazione italiana o spagnola (l’origine non è certa), di carattere introspettivo, riflessivo, che ben si adatta con i suoi ritmi solenni ad esprimere il cordoglio per la morte di una fanciulla, la principessa Edmond de Polignac.
La Pavane pour une infante défunte di Ravel non ha un carattere esplicitamente programmatico, come precisato dallo stesso compositore per rispondere a chi iniziava a definirlo impressionista: «Pour moi, je n’ai songé en assemblant le mots qui composent ce titre qu’au plaisir de faire une alliteration». Simile a Debussy per quel gusto di cesellare e raffinare il suono che in Ravel, però, tende ad allontanarsi dall’estetica impressionistica.
La brevità e l’intensità di questo foglio di musica con il quale Ravel mette in rilievo l’intimo lirismo e l’uso degli impasti e delle sonorità orchestrali crea una scheletrica semplicità del suo sviluppo e dell’espressione dolente della melodia, esposta all’inizio dal corno e continuata poi dal tenero e il duo tra il fagotto e l’oboe».
Come esposto, l’apertura è affidata al corno solista, che canta il tema principale, una delle melodie “eterne” che segnano la musica francese. E se volete emozionarvi già alle primissime battute di pentagramma, allora godetevi subito all’inizio, l’ingresso garbato, ma deciso, dei contrabbassi, che puntellano i corni, quasi ad aprire spazi di profondità alla malinconia di Ravel.
Jeux d’eau (“fontane”; 1901) sembra imitare gli echi generati dal soggetto rappresentato. La melodia è sottoposta a continue alterazioni tonali; le sue variazioni armoniche, spesso, risultano “poco orecchiabili”. Vi è, inoltre, un richiamo ad atmosfere orientali. Il brano si chiude in maniera speculare agli inizi: degli arpeggi, lo rendono “sospeso”.
Nel 1904 compose Shéhérazade Ravel interessato all’esotismo delle Mille e una notte lo volle approfondire. Nei primi anni del XX secolo incontrò il poeta Tristan Klingsor, che aveva recentemente pubblicato una raccolta di poesie in versi liberi dal titolo Shéhérazade, ispirata all'omonima suite sinfonica di Rimskij-Korsakov, un'opera che Ravel ammirava molto. Ravel e Klingsor erano membri di un cenacolo di giovani artisti creativi che si definivano Les Apaches (I teppisti); il poeta lesse al gruppo alcuni dei suoi nuovi versi e Ravel fu subito colpito dall'idea di metterne tre in musica. Chiese quindi a Klingsor di apportare alcune piccole modifiche prima di iniziare a lavorare sulla musica.
Il ciclo di canzoni di Ravel è per mezzosoprano (o tenore) solista e orchestra, sulle parole di "Asie", "La flûte enchantée" e "L'indifférent" di Klingsor. Fu eseguita per la prima volta il 17 maggio 1904 in un concerto della Société Nationale alla Salle Nouveau Théâtre di Parigi, con Jeanne Hatto e un'orchestra diretta da Alfred Cortot. Le tre canzoni del ciclo sono dedicate individualmente dal compositore a Hatto ("Asie"), Madame René de Saint-Marceaux ("La flûte enchantée") ed Emma Bardac("L'indifférent").

Asie


La prima, e più lunga, canzone delle tre è nella chiave oscura di mi bemolle minore. In genere l’esecuzione dura dieci minuti. È nelle parole della critica musicale Caroline Rae, "un panorama di fantasia orientale che evoca l'Arabia, l'India e, in un culmine drammatico, la Cina". Con le parole continuamente ripetute "je voudrais voir..." ("Mi piacerebbe vedere..." o "Voglio vedere..."), il poeta, o il suo immaginario narratore, sogna di fuggire dalla vita quotidiana in una fantasia europea di asiatiche lusinghe. La musica aumenta di intensità man mano che la sua immaginazione diventa più febbrile, fino a placarsi per terminare placidamente, nel mondo reale.







FrançaisItaliano
«Asie, Asie, Asie,
Vieux pays merveilleux des contes de nourrice
Où dort la fantaisie comme une impératrice,
En sa forêt tout emplie de mystère.
Asie, je voudrais m'en aller avec la goëlette
Qui se berce ce soir dans le port
Mystérieuse et solitaire,
Et qui déploie enfin ses voiles violettes
Comme un immense oiseau de nuit dans le ciel d'or.
Je voudrais m'en aller vers des îles de fleurs,
En écoutant chanter la mer perverse
Sur un vieux rythme ensorceleur.
Je voudrais voir Damas et les villes de Perse
Avec les minarets légers dans l'air.
Je voudrais voir de beaux turbans de soie
Sur des visages noirs aux dents claires;
Je voudrais voir des yeux sombres d'amour
Et des prunelles brillantes de joie
En des peaux jaunes comme des oranges;
Je voudrais voir des vêtements de velours
Et des habits à longues franges.
Je voudrais voir des calumets entre des bouches
Tout entourées de barbe blanche;
Je voudrais voir d'âpres marchands aux regards louches,
Et des cadis, et des vizirs
Qui du seul mouvement de leur doigt qui se penche
Accordent vie ou mort au gré de leur désir.
Je voudrais voir la Perse, et l'Inde, et puis la Chine,
Les mandarins ventrus sous les ombrelles,
Et les princesses aux mains fines,
Et les lettrés qui se querellent
Sur la poésie et sur la beauté;
Je voudrais m'attarder au palais enchanté
Et comme un voyageur étranger
Contempler à loisir des paysages peints
Sur des étoffes en des cadres de sapin,
Avec un personnage au milieu d'un verger;
Je voudrais voir des assassins souriants
Du bourreau qui coupe un cou d'innocent
Avec son grand sabre courbé d'Orient.
Je voudrais voir des pauvres et des reines;
Je voudrais voir des roses et du sang;
Je voudrais voir mourir d'amour ou bien de haine.
Et puis m'en revenir plus tard
Narrer mon aventure aux curieux de rêves
En élevant comme Sindbad ma vieille tasse arabe
De temps en temps jusqu'à mes lèvres
Pour interrompre le conte avec art....»
«Asia, Asia, Asia!
Antica, meravigliosa terra di storie della balia
Dove la fantasia dorme come un'imperatrice,
Nella sua foresta piena di mistero.
Asia, voglio salpare sulla goletta
Che si culla nel porto questa sera
Misteriosa e solitaria,
E infine dispiega le vele viola
Come un vasto uccello notturno nel cielo dorato.
Voglio salpare per le isole di fiori,
Ascoltando il canto del mare perverso
Ad un vecchio ritmo affascinante.
Voglio vedere Damasco e le città della Persia
Con i loro sottili minareti in aria.
Voglio vedere bellissimi turbanti di seta
Su facce scure con denti luccicanti;
Voglio vedere gli occhi scuri e amorosi
E le pupille scintillanti di gioia
In pelli gialle come le arance;
Voglio vedere mantelli di velluto
E abiti con lunghe frange.
Voglio vedere lunghe pipe nelle labbra
Circondata da barbe bianche;
Voglio vedere mercanti furbi con occhiate sospettose,
E cadis e visir
Chi con un movimento del dito piegato
Decretare la vita o la morte, per capriccio.
Voglio vedere la Persia, l'India e poi la Cina,
Mandarini panciuti sotto gli ombrelli
Principesse con mani delicate,
E gli studiosi discutono
A proposito di poesia e bellezza;
Voglio indugiare nel palazzo incantato
E come un viaggiatore straniero
Contempla a piacimento paesaggi dipinti
Su tela con cornici di pino,
Con una figura nel mezzo di un frutteto;
Voglio vedere gli assassini sorridere
Mentre il boia taglia una testa innocente
Con la sua grande sciabola orientale curva.
Voglio vedere poveri e regine;
Voglio vedere rose e sangue;
Voglio vedere quelli che muoiono per amore o, meglio, per odio.
E poi per tornare a casa più tardi
Raccontare la mia avventura a persone interessate ai sogni
Alzare - come Sinbad - la mia vecchia coppa araba
Di tanto in tanto alle mie labbra
Per interrompere la narrazione ad arte...»

La flûte enchantée

In questa canzone si narra di una giovane schiava che si prende cura del suo padrone addormentato, mentre dall’esterno ode il suo amante suonare il suo flauto. La musica, un misto di tristezza e gioia, le sembra un bacio che le vola dal suo amato. La melodia del flauto è caratterizzata dall'uso del Modo frigio.


FrançaisItaliano
«L'ombre est douce et mon maître dort
Coiffé d'un bonnet conique de soie
Et son long nez jaune en sa barbe blanche.
Mais moi, je suis éveillée encore
Et j'écoute au dehors
Une chanson de flûte où s'épanche
Tour à tour la tristesse ou la joie.
Un air tour à tour langoureux ou frivole
Que mon amoureux chéri joue,
Et quand je m'approche de la croisée
Il me semble que chaque note s'envole
De la flûte vers ma joue
Comme un mystérieux baiser.»
«L'ombra è piacevole e il mio padrone dorme
Nel suo cappello di seta conico
Con il suo lungo naso giallo nella barba bianca.
Ma sono ancora sveglia
E dal di fuori odo
Una canzone per flauto, che sgorga
A turno, tristezza e gioia.
Una melodia a volte langorosa e spensierata
Che il mio caro amante sta suonando,
E quando mi avvicino alla finestra reticolare
Mi sembra che ogni nota voli
Dal flauto alla mia guancia
Come un bacio misterioso.»

L'indifférent

L'ultima canzone del ciclo ha suscitato molte congetture. Il poeta, o il suo immaginario narratore, è molto preso dal fascino di una giovane persona androgina, ma non riesce a convincerlo ad andare nella casa di lui, o di lei, per bere vino. Non è chiaro se l'ammiratore del ragazzo sia un maschio o una femmina; uno dei colleghi di Ravel ha espresso la forte speranza che la canzone venga cantata da una donna, come di consueto. La canzone è in mi maggiore, con motivi oscillanti sugli archi nell'accompagnamento orchestrale che, come cita la critica musicale Caroline Rae, ricordano i Nocturnes di Debussy.


FrançaisItaliano
«Tes yeux sont doux comme ceux d’une fille,
Jeune étranger,
Et la courbe fine
De ton beau visage de duvet ombragé
Est plus séduisante encore de ligne.
Ta lèvre chante sur le pas de ma porte
Une langue inconnue et charmante
Comme une musique fausse....
Entre!
Et que mon vin te réconforte....
Mais non, tu passes
Et de mon seuil je te vois t’éloigner
Me faisant un dernier geste avec grâce,
Et la hanche légèrement ployée
Par ta démarche féminine et lasse....»
«I tuoi occhi sono dolci come quelli di una ragazza,
Giovane straniero,
E la bella curva
Del tuo bellissimo viso ombreggiato
Ancora più attraente è la linea.
Il tuo labbro canta sulla mia porta
Una lingua sconosciuta e affascinante
Come la musica stonata....
Vieni dentro!
E possa il mio vino confortarti ...
Ma no, tu passi
E dalla mia soglia ti vedo allontanarti
Facendo un ultimo gesto con grazia,
L'anca leggermente piegata
Con il tuo approccio femminile e languido...»

Nel 1906  Ravel mette in musica Une barque sur l’océan appartenente alla più ampia raccolta dei Miroirs (“specchi”, 1904/5)ispirato,  da una “barca sull’oceano”.
I meravigliosi accompagnamenti della mano sinistra rispettano l’andamento della linea di canto principale, suonata dalla destra. Segue una parte centrale, dalla quale si dipanano sviluppi molto simili a Ondine (1° movimento di Gaspard de la nuit, 1908), in cui saranno ben evidenti tanto il tema, quanto la conclusione del componimento sopracitato.
Passando, quindi, a Ondine (“piccola onda”, personificata), come nella parte centrale della “barca”, il tema consiste in una sola nota (cui ne vengono aggiunte poche altre), che si sovrappone al moto oscillatorio della mano destra. Si crea una sorta di climax ascendente che, dopo aver toccato il culmine della tensione, si risolve nel “pianto” di Ondine: arpeggi eseguiti contemporaneamente, da entrambe le mani, secondo un’irregolarità ritmica che difficilmente si coglie, in altre opere pianistiche. In chiusura, la stessa Ondine “riproporrà” una successione di melodie dissonanti; per poi “ritirarsi”, in “coerenza simmetrica” con l’incipit.
Le componenti più specificamente “espressioniste” di Ravel possono essere colte non solo in alcune di esse, ma anche in altre, dalle quali emerge uno spirito esasperato, dissacratorio e decostruttivo della forma: les Valses nobles et sentimentales (1911), La Valse (1919-20), il Concerto in sol per piano e orchestra (1921-31) e, in parte, gli stessi Miroirs.
Durante la Prima Guerra Mondiale non potendo arruolarsi per la salute cagionevole, divenne autista di ambulanza e tra il 1914 e il 1915 compose un trittico per coro a cappella, eseguito nell’ottobre del 1917 al teatro Vieux-Colombier di Parigi, del quale esiste anche una riduzione per voce e pianoforte.
Curiosando nelle orchestrazioni di Ravel analizzeremo uno dei tanti diamanti orchestrali dalle mille sfacciature e innovazioni timbriche Quadri di un’esposizione.

Quadri di un’esposizione furono scritti nel 1874 da Modest Musorgskij per pianoforte in seguito orchestrati da Ravel . Essi costituiscono una successione di brani di breve estensione ispirata all’esposizione di dipinti commemorativa dell’amico Viktor Hartmann, scomparso improvvisamente nel 1873. I brani costituiscono una sorta di galleria ideale di scene ‘dipinte’ attraverso la musica, intercalate da una Promenade che per un verso suggerisce lo spostamento da un quadro all’altro e per un altro verso, idealmente, possono far pensare alla riflessione del compositore di fronte alle realizzazioni pittoriche dell’amico: Promenade; I. Gnomus; Promenade; II. Il vecchio castello; Promenade; III. Tuileries; IV. Bydło; Promenade; V. Ballet des petits poussins dans leur coque; VI: Samuel Goldenberg et Schmuyle; VII. Limoges: le marché; VIII. Catacombae: Sepulcrum Romanum – Cum mortuis in lingua mortua; IX. La Cabane de Baba-Yaga sur des pattes de poule; X. La Grande Porte de Kiev.Della composizione della quale esistono diverse realizzazioni orchestrali. Fra queste la più celebre è quella realizzata nel 1922 dal compositore e pianista francese Maurice Ravel: non una semplice trascrizione, ma un ripensamento e una riscrittura dell’opera per i timbri orchestrali. I Quadri, tanto nella versione originale quanto nelle sue trascrizioni, appartengono al genere del ‘pezzo caratteristico’, «sono una suite, un seguito di brani caratteristici, ossia composizioni di breve durata dotata di un proprio e inconfondibile carattere musicale, tipico del Romanticismo» e basata su uno schema articolato di riferimenti extramusicali. La versione orchestrale di Ravel, in virtù della sua ricchezza timbrica e coloristica esprime delle sfumature timbriche di elevata raffinatezza basti pensare al Vecchio Castello dove il compositore introdusse l’assolo del sassofono. La suggestione grafico-pittorica della composizione rende quanto mai stimolante – e coerente con la composizione stessa – un lavoro didattico che trova nel segno grafico il proprio momento euristico.
Infatti, negli anni 1920 e 1930 Ravel era considerato a livello internazionale il più grande compositore vivente della Francia. È stato spesso collegato all'impressionismo insieme al suo contemporaneo più anziano Claude Debussy, sebbene entrambi i compositori respingessero il termine.
Gli piaceva sperimentare la forma musicale, come nel suo lavoro più noto, Boléro (1928), in cui la ripetizione prende il posto dello sviluppo.
Allora, andiamo ad analizzare il brano con il quale Ravel è arrivato all’apice della sua carriera il Bolero.
Nel giugno 1928 Ida Rubinštejn, celebre danzatrice che aveva fondato una propria compagnia, gli chiese di orchestrare sei pezzi estrapolati dalla suite Iberia di Isaac Albéniz per crearne un balletto, Ravel accettò. Il progetto si dimostrò però ben presto irrealizzabile, i brani di Iberia erano già stati orchestrati da Enrique Fernàndez Arbòs a cui erano stati concessi i diritti.
Ma Ravel ormai aveva già pensato ad un altro progetto, in quanto aveva  in mente il tema del Boléro, destinato al balletto della Rubinštejn; la partitura inizialmente avrebbe dovuto avere il ritmo di un fandango e chiamarsi allo stesso modo, ma presto l'idea del bolero ne prese il posto; il lavoro fu scritto in pochissimo tempo, fra il mese di luglio e l'ottobre 1928.

Secondo la descrizione che lo stesso Ravel dà del pezzo nello Schizzo Autobiografico, il Bolero "è una danza di movimento molto moderato e costantemente uniforme, tanto per la melodia e l'armonia quanto per il ritmo. Il solo elemento di diversificazione è costituito dal crescendo dell'orchestra". Più ancora che per tutti gli altri brani musicali, è nell'idea in sé - per certi aspetti assurda e provocatoria - che risiede l'intero valore artistico del Bolero; idea tanto semplice quanto impossibile da trasformare in musica se non fosse stato per il suo genio timbrico di Ravel, l'unico in grado di porsi e di vincere una tale sfida con sé stesso. Un unico tema suddiviso in due frasi distinte di 16 battute ciascuna - l'una in DO maggiore, l'altra nel più morbido DO minore - ed un unico ritmo di bolero in tempo assai moderato sono i soli elementi sui quali l'autore costruisce la sua celebre danza, la cui allucinante fissità è ribadita sul piano armonico dalla mancanza pressoché totale di modulazioni (i bassi si limitano a due sole note, DO e SOL, gradi principali della scala di DO tonica e SOL dominante). La partitura prende via via vita, definendosi allo stesso tempo nella sua stessa forma musicale, nel lento ma graduale crescendo dinamico e nel costante arricchimento della "tavolozza" orchestrale che si distribuisce ora sul motivo conduttore - ripetuto 18 volte - ora sugli assetti ritmici. Il tema, presentato in pianissimo dal flauto solo sull'accompagnamento del tamburo, viene ripreso prima da singoli strumenti: clarinetto, fagotto, clarinetto piccolo e corno inglese, poi da gruppi strumentali dagli impasti timbrici sempre più complessi e raffinati, fino a coinvolgere l'intera compagine orchestrale. Una sferzante ed inaspettata modulazione alla tonalità di MI maggiore (tonalità lontana al DO) segna il culmine della tensione emotiva determinata dall'inesorabile e meccanica amplificazione della materia sonora. L'escursione armonica è però di breve durata: il DO maggiore iniziale riappare dopo solo otto battute, in un roboante finale segnato dai glissati dei tromboni. Uno degli aspetti che maggiormente colpisce del Bolero di Ravel, ed ancora stupisce a quasi cent’anni dalla sua prima rappresentazione, è la forza del coinvolgimento emotivo - quasi fisicamente tangibile - che esso suscita nello spettatore, contrapposto all'estrema semplicità dei mezzi musicali impiegati. Ma è proprio nella deliberata semplicità di quegli elementi e nel calcolato rigore, con cui essi sono relazionati tra loro che si origina quella forza; la quale, a sua volta, trasforma gli elementi musicali in ben calibrati ingranaggi di un fascinoso meccanismo incantatorio, in cui il gioco timbrico strumentale non fa altro che accrescerne la seduzione.
Lavoratore lento e scrupoloso, Ravel compose meno brani di molti suoi contemporanei. Tra le sue opere che sono entrate nel repertorio ci sono brani per pianoforte, musica da camera, due concerti per pianoforte, musica per balletto, due opere e otto cicli di canzoni; non ha scritto sinfonie o musica sacra. Molte delle sue opere esistono in due versioni: prima composizione per pianoforte e poi un'orchestrazione. Parte della sua musica per pianoforte, come Gaspard de la nuit (1908), è eccezionalmente difficile da suonare e le sue complesse opere orchestrali come Daphnis et Chloé (1912) richiedono un abile equilibrio nell'esecuzione.
Ravel fu tra i primi compositori a riconoscere il potenziale delle registrazioni per portare la sua musica ad un pubblico più ampio. Nel 1928 Ravel visitò gli Stati Uniti e il Canada viaggiando in treno ed eseguendo concerti pianistici nelle principali sale da concerto di venticinque città, accolto con entusiasmo da pubblico e critica e si conquistò una laurea ad honorem a Oxford.
Concerto pour la main gauche viene composto per Paul Wittgenstein e dedicato a Paul Wittgenstein (1887-1961; fratello del filosofo Ludwig) che, dopo aver perso il braccio destro durante la Prima Guerra Mondiale, suona in prima assoluta, a Vienna, il 5 gennaio 1932.

Ravel compose il Concerto per pianoforte per la mano sinistra in re maggiore tra il 1929 e il 1930; è una commissione del pianista austriaco Paul Wittgenstein, privo del braccio destro, amputato durante la Prima guerra mondiale, che, prima di rivolgersi al compositore francese, aveva richiesto brani specifici a Richard Strauss, Prokofiev, Hindemith e Britten al fine di non interrompere la sua carriera altrimenti compromessa.
Dalla durata relativamente “breve” (circa 20 minuti), questo Concerto si distingue dagli altri, in quanto la mano sinistra è “chiamata” a suonare l’equivalente delle “due mani “messe insieme”. Dal punto di vista tecnico, la difficoltà si spinge fin (quasi) ai limiti, per via dei frequenti ed imprevedibili spostamenti della sola mano.
In una prima esecuzione per due pianoforti, novembre 1931, Wittgenstein apporta sostanziali modifiche alla partitura per adattarla meglio alle proprie esigenze; suscita così il risentimento di Ravel che cesserà di collaborare col pianista austriaco; la prima esecuzione con l’orchestra ha luogo a Vienna il 5 gennaio 1932 sotto la direzione di Robert Heger, ma Ravel non è presente.
Paul Wittgenstein, pur avendo ottenuto l’esclusiva su questo concerto, non ha facoltà di eseguirlo in Francia. A Parigi, alla Salle Pleyel, viene presentato nella sua versione originale il 19 marzo 1937; al pianoforte siede Jacques Février, l’orchestra è diretta da Charles Munch; Maurice Ravel muore a dicembre di quello stesso anno.
Per il solista questo concerto rappresenta una vera e propria sfida; la mano sinistra è tanto impegnata sulla tastiera che sembra stia utilizzando anche la destra. L’orchestrazione, poi, è dinamica, ricca di colori e sfumature. Sono presenti digressioni pianistiche di evidente derivazione jazzistica che, assieme alle percussioni, conferiscono un tono particolare alla composizione. Il Concerto è articolato in un unico movimento nel quale si possono distinguere tre sezioni: Andante, Allegro, Finale ed inizia sugli arpeggi dei contrabbassi che creano un’atmosfera cupa e misteriosa.
Il controfagotto propone un tema drammatico di sarabanda sul quale intervengono i corni con un motivo triste e doloroso; i due temi vengono sviluppati con energia fino all’ingresso autoritario del pianoforte solo che interviene, mettendo in luce buona parte dei temi, che verranno ripresi, arricchiti e combinati reciprocamente.
I suoi passaggi, le incursioni sulle note più basse, creano un incredibile volume sonoro. L’intera orchestra riprende il tema di sarabanda, poi un passaggio improvviso e leggero del pianoforte conduce verso un robusto ritmo di marcia scandito dagli archi, dagli ottoni e dalle percussioni. La marcia diventa una sanguigna danza rustica dove il pianoforte è il protagonista. Ironicamente appare un breve episodio dal colore orientale. Un glissando del pianoforte riconduce al tema di sarabanda, portato al suo culmine da tutta l’orchestra che poi ritorna anche il tempo di marcia. A contrasto si erge l’intervento quasi sereno del pianoforte, poi improvvisa e violenta l’eclatante chiusura.
Analogamente ai brani solistici da poco analizzati, sono presenti innumerevoli sonorità “evocative di acqua”, oltre ad una sorta di “arabeschi”, con chiari richiami al mondo orientale, nonché di stile jazz (le influenze vicendevoli tra Ravel e Gershwin sono attestate dalla storia della musica: George Gershwin incontrò Ravel, ed espresse il desiderio di studiare, se possibile, con il compositore francese. Quest'ultimo rispose: "Perché dovresti essere un Ravel di secondo livello quando puoi essere un Gershwin di primo livello?"). Tra estremo virtuosismo e momenti di totale abbandono, il Concerto si conclude con delle “ottave discendenti” che paiono ricordare Igor Stravinsky (1882-1971), nei Tre movimenti di Petrouchka (versione pianistica dell’omonimo balletto, realizzato, come opera orchestrale, nel 1911.