Le prossime note ci accompagneranno nella musica di Donizzetti.
Il compositore nacque a Bergamo il 29 novembre del 1797 da una famiglia di umile condizione e molto povera, quinto di sei figli dedicò tutta la sua vita alla musica, fu ammesso, infatti, a frequentare dal 1804 al 1815 le "lezioni caritatevoli" di musica tenute da Giovanni Simone (Johann Simon) Mayr, Francesco Salari e Antonio Gonzales, nella scuola caritatevole di musica – dalla quale deriva l'attuale Istituto Superiore di Studi Musicali "Gaetano Donizetti" (il conservatorio di Bergamo). Dimostrò ben presto un talento notevole, e pur avendo modeste qualità vocali, elemento necessario per svolgere egregiamente il servizio di cantore per poter proseguire i corsi gratuiti, riuscì a proseguire gli studi con i progressi nello studio della musica. Incontrò Vincenzo Bellini e ne scrisse alla morte la messa da requiem, che venne eseguita per la prima volta solo nel 1870 nella basilica di Santa Maria Maggiore a Roma.
Fu proprio Mayr ad aprire all'allievo prediletto le possibilità di successo, curandone prima la formazione e affidandolo poi alle attenzioni di Stanislao Mattei. Proseguì gli studi musicali a Bologna dove scrisse la sua prima opera teatrale Il Pigmalione Il, che sarà rappresentata postuma, e interessanti composizioni strumentali e sacre.
Ancora il maestro Mayr, insieme all'amico Batolomeo Merelli, gli procurò la prima scrittura per un'opera al Teatro San Luca di Venezia, l’Enrico di Borgogna, cha andò in scena il 14 novembre 1818 che ricevette un notevole successo.
Conclusa l'esperienza veneziana il compositore si trasferì a Roma, presso l'impresario Paterni, come sostituto di Mayr. Scrisse la Zoraida di Granata un libretto poco felice del Merelli, che sarebbe stato riveduto due anni dopo, con l’aiuto di Ferretti.
Al termine dell'opera si recò a Napoli per sovrintendere all'esecuzione dell'Atalia di Mayr, oratorio diretto da Gioachino Rossini.
In seguito alla fuga del direttore con Isabella Colbran l'impresario Barbaja assunse Donizetti, che esordì il 12 maggio del 1822 con La zingara, l’opera semiseria su libretto del Tottola. In sala era presente Vincenzo Bellini, che rimase ammirato dalla scrittura contrappuntistica del settimino, ma che in seguito non ricambiò la stima profonda che Donizetti aveva per lui. Questo periodo fu caratterizzato dalle numerose farse. La lettera anonima, andata in scena nel giugno del 1822 al Teatro del Fondo, attirò l'attenzione della critica che apprezzò la padronanza con cui Donizetti aveva affrontato il genere buffo napoletano. Il contratto con Barbaja lo impegnò per quattro opere l'anno. Subito dopo la rappresentazione dell’ Alfredo il Grande, egli mise mano al Fortunato inganno, satira teatrale ispirata ai precedenti di Benedetto Marcello (Il teatro alla moda, 1720) e di Carlo Goldoni (Il teatro comico, 1750), che fu per Donizetti un esercizio preparatorio per Le convenienze e le inconvenienze teatrali, del 1827, in parte già accennato anche nel personaggio di Flagiolet della Lettera anonima. Anche se per molti anni la musicologia ha attribuito allo stesso Donizetti il libretto de “Le Convenienze”, si avvalse in realtà della penna di Domenico Gilardoni, poeta dei teatri reali di Napoli e suo storico collaboratore durante gli anni partenopei, come evidenziano Roger Parker e Anders Wiklund nell’edizione critica dell’opera. Negli stessi anni dovette preoccuparsi del mantenimento della moglie Virginia Vasselli, sposata nel 1828, ed ebbe il dolore della perdita del figlio primogenito. La produzione fu talvolta un po' convenzionale. Fu nel 1830, con l'Anna Bolena, scritta in soli trenta giorni per il Teatro Carcano di Milano, che Donizetti ebbe il primo grande successo internazionale, mostrando una piena maturità artistica. Particolare curioso: dopo il successo di Anna Bolena, Mayr gli si rivolse chiamandolo "maestro". Il rapporto di affetto e stima tra i due compositori rimase saldo fino alla morte.
Di qui in poi la vita professionale di Donizetti proseguì a gonfie vele, anche se non mancarono i fiaschi, intrecciati a vicende familiari che non gli risparmiarono nessun dolore, spesso proprio nei momenti di maggior gloria e successo.
Il 31 luglio 1830 vi fu la prima assoluta della cantata Il ritorno desiderato, per il testo di Domenico Gilardoni con Luigia Boccabadati, Antonio Tamburini e Luigi Lablache al Teatro di San Carlo di Napoli.
Nel 1832, dopo l'insuccesso dell'Ugo, conte di Parigi, il pubblico milanese del Teatro della Cannobiana (odierno Teatro lirico) applaudì L'elisir d'amore, su libretto di Felice Romani, da una commedia di Eugène Scribe. L'anno successivo, sempre a Milano, fu presentata con successo la Lucrezia Borgia, per la quale il Donizetti previde una nuova disposizione dell'orchestra, quella a cui si ricorre ancor oggi, con gli archi disposti a semicerchio davanti al podio. È invece del 1834 l'opera Rosmonda d’Inghilterra su libretto di Felice Romani, rappresentata per la prima volta a Firenze il 27 febbraio di quell'anno.
Ricevette poi da Gioacchino Rossini l'invito a scrivere un'opera per il Théâtre de la comédie italienne di Parigi: nacque così il Marin Faliero, su libretto del Bidera (da Byron), risistemato da Ruffini, che andò in scena il 12 marzo 1835, ma senza successo.
Erano passati due mesi dalla rappresentazione di I puritani di Vincenzo Bellini, quando la "prima" della Lucia di Lammermoor ripropose la competizione milanese del 1832 fra la Fausta e la Norma. La stima fra Bellini e Donizetti non fu affatto reciproca: il primo non risparmiò critiche feroci al secondo, che invece ammirò sempre la musica del catanese (Bellini morì in quell'anno e Donizetti scrisse per lui una Messa di Requiem). Al Teatro di San Carlo di Napoli, di cui fu direttore artistico dal 1822 al 1838, Donizetti presentò ben diciassette opere in prima esecuzione, fra cui il suo capolavoro, la Lucia di Lammermoor. La prima della Lucia, su versi di Salvadore Cammarano, fu un trionfo. Il capolavoro di Donizetti non fa eccezione: anch'esso fu scritto in tempi ristrettissimi (trentasei giorni). L'anno seguente il Belisario fu applaudito alla Fenice, ma l'anno fu funestato dalla morte del padre, della madre e della seconda figlia. Due anni dopo sarebbero mancate anche la terza figlia e la moglie, che morì di colera il 30 luglio 1837.
Presto Donizetti decise di lasciare Napoli; i problemi con la censura per il Poliuto (che alla fine non andò in scena e fu rappresentato solo dopo la morte del compositore) e la mancata nomina a direttore del conservatorio (di cui era direttore effettivo) sicuramente lo confermarono nei suoi propositi; e, nell'ottobre del 1838 egli era già a Parigi. Qui era ad accoglierlo l'amico Michele Accursi, spia pontificia, che aveva anche lavorato per favorirne la venuta.
In quegli anni le sue opere furono rappresentate ovunque, sia in traduzione sia in lingua originale, presso il Théâtre des Italiens. Scrisse La figlia del Reggimento, che esordì all’Opéra- comique nel febbraio del 1840, e preparò una versione francese del Poliuto intitolata Les martyrs.
L'ambiente parigino, dove si era temporaneamente trasferito, fu certo foriero di successi e di entusiasmi, ma non scevro di difficoltà, soprattutto con l'apparato teatrale e operistico del luogo. All'amico Tommaso Persico scriveva così, nel periodo in cui metteva in scena Les martyrs. L'anno seguente scrisse La favorita, riciclando pagine di un'opera mai conclusa: L'ange du Nisida. Ricevette anche l'importante nomina a cavaliere dell'Ordine di San Silvestro dal papa Gregorio XVI. Ma fu l'invito del Rossini a dirigere l'esecuzione dello Stabat Mater a Bologna l'avvenimento più significativo. Quindi, grazie ad una raccomandazione per Metternich vergata da Rossini stesso, Donizetti partì alla volta di Vienna, dove il 19 maggio presentò la Linda di Chamounix
Si era ormai giunti al 1843, anno di composizione del Don Pasquale. Il libretto, preparato da Giovanni Ruffini sulla base del Ser Marcantonio di Anelli che fu pesantemente e rimaneggiato da Donizetti, al punto che l'autore ritirò la firma: l'opera fu per lungo tempo attribuita a Michele Accursio. La firma "M.A." sta invece per "maestro anonimo". Intanto Donizetti si occupò della rappresentazione francese della Linda di Chamounix e terminò la Maria di Rohan: furono gli ultimi momenti di grande fervore creativo, poi la malattia ebbe il sopravvento. Al Teatro Nuovo il 5 ottobre 1843 avvenne la prima assoluta del lied Addio brunetta, son già lontano, il 28 dicembre della romanza Malvina la bella, il 22 febbraio 1844 della barcarola Sovra il remo sta curvato, il 4 aprile della romanza Se a te d'intorno scherza e il 2 maggio della canzonetta Chi non mi disse un dì.
Dalla penna del maestro uscirono ancora il Dom Sebastien, che riscosse grande successo a Parigi, e la Caterina Cornaro, che invece fu fischiata a Napoli, con gran delusione di Donizetti.
Gli ultimi trionfi del 1845 si accompagnarono al totale tracollo fisico del compositore che, ormai pazzo a causa della sifilide, aveva lo sguardo spento, un carattere chiuso e diffidente, segnato da manie di persecuzione. L'infezione, dovuta alla sifilide, costrinse Donizetti alla vita vegetativa nel manicomio d'Ivry-sur-Seine, dove fu rinchiuso con l'inganno dal nipote, il quale gli fece credere che il manicomio fosse un albergo e un soggiorno momentaneo. Uscì solo qualche mese prima della morte, grazie all'impegno degli amici che lo riportarono a Bergamo, nel palazzo Basoni Scotti, dove morì nel 1848; la sua tomba si trova nella basilica di Santa Maria Maggiore a Bergamo. Gaetano Donizetti morì a Bergamo l'8 aprile 1848.
L’opera che ebbe più successo fu L'Elisir d'amore, un melodramma giocoso in due atti di Gaetano Donizetti su libretto di Felice Romani.
La storia ruota attorno alle vicende dell'umile contadino Nemorino, innamorato di Adina ed incapace di dichiararsi. L'equilibrio viene bruscamente interrotto con l'arrivo di Dulcamara (il ciarlatano di Donizetti), che - fingendosi un dottore - vende a Nemorino un fantomatico elisir d'amore...
L'opera andò in scena per la prima volta il 12 maggio del 1832 a Milano, presso il Teatro della Cannobiana.
Felice Romani aveva tratto ispirazione per suo il libretto da un testo scritto l'anno prima da Eugène Scribe per il compositore Daniel Auber, Le Philtre (Il filtro).Il cast della prima messa in scena era così composto: Sabina Heinefetter (nel ruolo di Adina), Giuseppe Frezzolini (Dulcamara), Henry Bernard Debadie (Belcore), Giovan Battista Genero (Nemorino) e Marietta Sacchi (Giannetta) diretti da Alessandro Rolla.
- Adina, ricca e capricciosa fittaiuola - soprano
- Nemorino, coltivatore, giovane semplice, innamorato di Adina - tenore
- Belcore, sergente di guarnigione nel villaggio - baritono
- Il dottore Dulcamara, medico ambulante - basso buffo
- Giannetta, villanella - soprano
- Villani e villanelle, soldati e suonatori del reggimento, un notaio, due servitori, un moro - cori e comparse
L'azione ha luogo in un villaggio dei paesi baschi alla fine del XVIII secolo.
- ATTO I
La giovane Adina se ne sta in disparte, leggendo delle vicende di Tristano e Isotta, mentre i mietitori riposano all'ombra. Intanto, l'umile contadino Nemorino la osserva da lontano, esprimendo per lei tutto il suo amore e la sua ammirazione, dolendosi della propria incapacità di conquistarla. I contadini chiedono ad Adina di renderli partecipi delle sue letture; lei comincia a leggere delle peripezie di Tristano e del filtro magico che lo ha aiutato a far innamorare di sè la regina Isotta.
Mentre Nemorino sogna di trovare questo magico elisir, arriva in paese il sergente Belcore, con lo scopo di arruolare nuove leve. Belcore - anch'egli innamorato di Adina - le chiede di sposarlo; lei evita una risposta e dice di volerci pensare un po' su.Adina espone a Nemorino la sua teoria circa l'amore: l'amore fedele e costante proprio non fa per lei...in quel mentre arriva in paese il dottor Dulcamara; egli in realtà è un truffatore che, girando di paese in paese, vende i propri miracolosi preparati medicinali. Nemorino coglie la palla al balzo e gli chiede se abbia un elisir che faccia innamorare le persone. Il ciarlatano pesca dal mucchio una bottiglia di vino bordò e gliela vende, fornendo precise istruzioni: la pozione avrà effetto dopo ventiquattro ore (il tempo utile per permettergli di fuggire indisturbato dal paese...).
Nemorino beve tutta l' "elisir" e si ubriaca. Ciò lo fa diventare disinvolto, quel tanto che basta per mostrarsi indifferente nei confronti di Adina. La giovane contadina, abituata com'è a sentirsi desiderata, prova fastidio verso Nemorino. Per ripicca decide dunque di accettare la proposta di Belcore e sposarlo quel giorno stesso, prima della sua partenza.
Nemorino crede fermamente nell'elisir da lui bevuto, cerca per questo di convincere Adina a spostare la data delle nozze per permettere all'elisir di fare effetto. Adina non lo ascolta e se ne va con il sergente Belcore.
- ATTO II
Fervono i preparativi per le nozze. Adina vuole aspettare che venga sera per celebrare le nozze, perché vuole che assista anche Nemorino, per punirlo della sua indifferenza. Intanto Nemorino vorrebbe comprare un'altra bottiglia di elisir da Dulcamara, ma non ha i soldi. Decide quindi di arruolarsi per avere la paga. Il sergente Belcore riesce così ad allontanare lo scomodo rivale.
Giannetta sparge in paese la notizia che Nemorino ha ottenuto una grande eredità da un parente recentemente deceduto. Questo non lo sanno né l'interessato, né Adina, né Dulcamara: la novità fa sì che le ragazze del paese corteggino Nemorino e questi pensi sia l'effetto dell'elisir. Dulcamara resta perplesso, Adina si ingelosisce. Quando Dulcamara racconta ad Adina di aver venduto l'elisir d'amore a Nemorino, lei capisce che di essere la sua amata. Una lacrima negli occhi di Adina tradisce i suoi sentimenti; Nemorino, vedendola, capisce di essere ricambiato. Adina entra in possesso del contratto di arruolamento di Nemorino e glielo rende, consigliandogli di rimanere in paese. Nemorino, dopo aver tanto penato, vorrebbe una dichiarazione d'amore da lei. Quando infine dichiara di volersene andare, Adina cede e dichiara il suo amore. La scena si conclude con Belcore che se ne va, convinto di trovare altre ragazze da corteggiare, e Dulcamara trionfante e incredulo per il successo ottenuto dal suo improbabile elisir.